Gennaro Regina, un pittore per l’Onu. Le opere dell’artista napoletano scelte per festeggiare il 60° anniversario dell’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite
Jul 28, 2015
Un napoletano in America, negli States, non fa certo notizia. Un napoletano alle Nazioni Unite, sì. Soprattutto se inonda con tramonti e «vesuvi» la sala conferenze del palazzo newyorchese dell’Onu, soprattutto se invitato per il 60° anniversario dell’adesione italiana alla carta delle Nazioni Unite.
E’ il caso di Gennaro Regina vulcanico interprete degli inossidabili archetipi partenopei, abile nel trasferire su tela personalissime rielaborazioni fotografiche del più consueto paesaggio metropolitano. Spesso ricorrendo allo strumento dell’allegoria, sempre setacciando la tradizione partenopea perché assurga a simbolo di provocazione e denuncia. Il Vesuvio, prima di tutto. Con l’eruzione intesa come propulsore di energie e catarsi, in grado di liberare la città dolente dal fardello di ogni deformante negatività. A New York hanno apprezzato la carica irridente e sentimentale di Regina, abbagliati dal vulcano con i fuochi d’artificio, sedotti dai Faraglioni con in mezzo il rosso di un tramonto pop. Per un napoletano come Gennaro, primogenito di un’antica famiglia di editori d’arte e librai antiquari e patron di «Voyage Pittoresque Factory» lo spazio di pensiero, produzione e incontro al Corso Vittorio Emanuele, è stato un gioco da ragazzi. Lui che da sempre, «indipendente e libero da tutto e tutti», si «diverte» con acrilici, oli, tempere e acquerelli ha stupito quel parterre selezionatissimo con effetti speciali, lunari, spettrali. Con cieli porpora, rocce di ghiaccio, visioni oblique e prospettive insolite. Elementi classici di un repertorio consacrato e proprio per questo dissacrato e dissacrante. Riveduto e corretto. «Siamo tutti napoletani» aveva scritto in occasione della mostra romana nel Palazzo della Cancelleria di Stato traducendo in dieci lingue diverse, dal francese al cinese passando per il dialetto partenopeo e il tedesco, una proposizione forte, nella convinzione di poterla condividere universalmente. Declinando quella Napoli da «cartolina» nell’iperrealismo spiazzante dei viola, dei gialli, dei blu. E’ il «gioco» di Regina, sfuggente a qualsivoglia cliché, che ama mescolare le carte, sovvertire allineamenti, conscio del privilegio delle sue origini, «di essere napoletano, di potere vivere e raccontare emozioni che ad altri non sono consentite», scrive di lui Vittorio Sgarbi. «Così ci sta davanti in modo perentorio, senza scorciatoie, con immagini dirette. Non vuole ingannare e non vuole essere ingannato. Gennaro Regina, homo ludens».